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Confesercenti: consentire subito la vendita da asporto per i pubblici esercizi. A rischio migliaia di imprese in regione
“Il settore della ristorazione e dei bar è allo stremo e rischia un vero e proprio terremoto con la chiusura di oltre duemila aziende in regione”. È quanto si legge in una nota di Fiepet Confesercenti (la Federazione dei pubblici esercizi) a seguito di un’indagine condotta fra i propri associati del settore in Emilia-Romagna.
“Dall’indagine – continua la nota – emerge come il calo del fatturato previsto per il 2020, in caso di riapertura entro il mese di maggio, sarà di percentuali attorno al 40% per un totale complessivo in regione di circa 1,3 miliardi di euro, per cui, mentre si ragiona sull’eventuale riapertura, è fondamentale consentire immediatamente almeno la vendita d’asporto che consentirebbe a molte imprese di ricominciare l’attività e a guardare al futuro con più ottimismo. Una vendita d’asporto che garantisca la sicurezza dei consumatori attraverso la regolazione delle entrate nei locali, nelle stesse modalità già applicate dalle altre attività commerciali aperte”.
Per quanto riguarda il futuro ci si aspetta più take away e spazi all’aperto, ma anche più tecnologia per limitare i contatti.
La Fiepet sta già lavorando a diverse proposte come l’estensione straordinaria della metratura a disposizione dei dehors di bar e ristoranti senza costi aggiuntivi per le imprese, l’utilizzo dei buoni pasto via app per i pagamenti ma anche interventi sul fronte dei costi.
“Per mantenere in piedi la rete dei pubblici esercizi – conclude la nota - è necessaria la collaborazione di tutti: le case emettitrici dei buoni pasto devono abbattere drasticamente i costi di commissione sui ticket; Governo ed Enti Locali, invece, devono decidere lo stop immediato per Tari e occupazione suolo pubblico per tutto il 2020. Bar e ristoranti, infatti, continuano a pagare anche se sono costretti all’inattività. A questi interventi dovrebbero aggiungersi indennizzi a fondo perduto sui ricavi mancati e la decontribuzione del costo del lavoro, almeno per tutta la durata delle restrizioni”.